Simone Cinque è un ragazzo di 27 anni quando decide di lasciare Napoli. Dopo tanti anni di viaggio in giro per il mondo, insegue il suo sogno: un anno di volontariato in Africa, nella comunità di Balaka, in Malawi.
Il viaggio come massima essenza
“Mi definirei un uomo semplice, che ha voluto conoscere se stesso attraverso l’esperienza. Ho sempre pensato che il miglior modo di farlo fosse la forma del viaggio, che ci pone continuamente di fronte contesti nuovi e culture differenti. Solamente dinanzi a questi cambiamenti potevo riuscire a conoscere le infinite regioni della mia personalità. Il viaggio ha rappresentato la massima essenza della mia ricerca nell’esperienza“.
La forte motivazione che lo ha spinto verso il volontariato in Africa comincia dal desiderio di vivere contesti rurali ed ancestrali, ma soprattutto di dedicare il proprio tempo a chi ne ha bisogno.
“Dopo anni da Nomade in giro per il mondo sentivo il bisogno di fermarmi e vivere le mie esperienze verso il prossimo.”
“Ho lavorato per un’organizzazione umanitaria che ritengo rispecchiasse l’essenza della cooperazione. Molto spesso anche in questo settore vedo del marcio. Pensiamo di andare nei paesi in via di sviluppo e di aiutarli. Ma in che forma? Ricordo che la mia prima volta in Africa, ero in Senegal, sentii parlare italiano: erano degli operai che stavano costruendo un’autostrada. Elaborai quanto visto e mi resi conto che ‘noi’ andiamo lì, costruiamo qualcosa che riteniamo aiuti la gente, ci facciamo pagare dal governo locale e andiamo via. Il problema è che non insegnamo loro come costruirla, lasciandoli così in uno stato di perenne inferiorità che considero una forma di Neocolonialismo, in un certo senso. La mia ONG invece si basava su un antico detto dei Nativi Americani: ‘Se vedi un uomo che ha fame, non regalargli un pesce ma insegnagli a pescare’.
“Il Bambo mi disse che in 45 anni nessun ‘bianco’, oltre me, era mai stato chiamato “Achimwene” dalla comunità. Vuol dire fratello maggiore”.
Il servizio con l’ONG
L’ONG per cui Simone ha prestato servizio di volontariato in Africa contava un solo dipendente ‘bianco’ (come lo definisco loro) e tutti gli altri 300 dipendenti (stipendiati dalla ONG) erano locali, così da utilizzare le forze del territorio. L’idea fu di un sacerdote, Padre Mario Pacifici detto ‘Bambo’, che 45 anni prima fondò questa comunità.
“Ho ammirato questa declinazione della fede Cristiana sotto forma di amore, verso il prossimo e senza distinzioni, slegato dai tanti dogmi che invece viviamo nel nostro paese”.
L’ONG è ‘Andiamo Youth Coperative Trust‘ e si occupa di sviluppo del territorio e lo promuove attraverso dei progetti dedicati. E’ presente il settore scolastico, fondato e registrato da Padre Mario, con asili gratuiti in cui i bambini possano crescere in un contesto protetto e ricevere un pasto (questo gli permette di avere due pasti giornalieri invece che uno solo in famiglia), la scuola secondaria nota in tutto il paese come una delle più sviluppate, in cui sensibilizzare i ragazzi su tematiche sociali attraverso laboratori come il Cineforum. Ed infine una scuola tecnica che offre una preparazione completa per mestieri quali falegname, elettricista e meccanico. Tutto interamente gestito dalla ONG. Poi c’è il settore ospedaliero con alcuni ambulatori ed un ospedale costruito da zero; la casa famiglia che accoglie ‘bambini di strada’ offrendogli nuove possibilità di vita; il settore agricolo a cui oltre 20 villaggi aderiscono e che attraverso il mini-credito permette a tutti gli abitanti di autosostenersi. Infine la cooperativa che dà lavoro e servizi alla comunità.
“Mi ricordo che al termine di un ciclo di Film che guardammo, sul tema del razzismo, mi accorsi che i ragazzi dei primi anni non sapevano cosa significasse”.
La giornata in Africa
“In Africa i ritmi di vita sono completamente diversi, ci si adegua a quelli della giornata: ti svegli quando sorge il sole e vai a dormire quando tramonta. Poca elettricità e lunghi black-out. La mattina raggiungevo i villaggi, lì potevamo fare sensibilizzazione ai ragazzi o aiutare nella costruzione dei pozzi. Svolgevo mansioni nelle scuole (come cineforum o istruttore di cacio) o nell’ufficio; si vive alla giornata.”
“Al tramonto amavo andare a correre per la Savana”.
“La mia Africa”
“L’ho tratto da un libro, intendo il mio grande amore, la mia Mamma Africa. È dove ho lasciato un pezzo del mio cuore. Intendo un insieme di cose: i canti, i rapporti umani, gli odori, tutte le persone che ho conosciuto.
La felicità ovunque
“Ero felicissimo, mi manca da morire. Tornerò appena posso. Sono uno di loro. E’ una vita semplice e per questo meravigliosa. Avevamo pochissimo ed eravamo sorridenti, nella vita serve davvero poco. La felicità era ovunque attorno a me, così ho capito quali siano i veri problemi. E’ stata dura, per andare a comprare il cibo dovevo fare più di due ore e mezza all’andata ed anche al ritorno, ma quando trovi il tuo equilibrio lo vivi alla grande.
“Non potevo rinunciare al mio caffè Napoletano, lo facevo portare dai volontari che arrivavano ogni mese”.
“Il Mal d’Africa è enorme. L’ho vissuto diversamente dalla prima volta. Quando tornai dal Senegal e Gambia mi sentivo allergico all’asfalto, alle forchette, al materasso: è stato durissimo l’impatto. Con due voli aerei poi torni e sei catapultato in un’altra realtà. Oggi non mi manca solo Mamma Africa, sento soprattutto la malinconia della mia comunità.”
“Non amo l’aereo. Ti trasporta rapidamente da un mondo ad un altro. Quando vivi il viaggio, su strada o su mare ti rendi conto dei passaggi che stai facendo“.
“Della mia esperienza di volontariato in Africa non cambierei nulla. Desidererei mutare solamente il concetto di aiuto verso il prossimo. Non “possiamo” arrivare in Africa ed esportare il nostro stile di sviluppo ed applicarlo. Bisogna comprendere la cultura e le persone del popolo, la loro storia, cercando di adattarsi a questi fattori per aiutarli veramente.”
Consigli?
“Provare a vivere la vita nella sua essenza e nella sua bellezza, cercare di essere allegri, amandola anche nei suoi dolori. Fare esperienze, cercare il prossimo per comprendere sé stessi. Questo possiamo farlo solamente in contesti diversi dai nostri”.
“Il viaggio non è un hobby o una passione: è la mia vita”.