Queste sono le situazioni dei rifugiati dopo il disastro vulcano del Fuego.
Dopo la disgrazia essendo in Guatemala sono subito corso al rifugio degli sfollati per poter svolgere volontariato. È stata una delle esperienze più forti vissute in prima persona, ma oltre a questo, ho visto con i miei occhi cosa può accadere dopo un disastro naturale del genere. La mattina c’era la fila di enormi camion da scaricare, provenienti da qualsiasi parte del centro America.
Un enorme catena umana per scaricare un camion pieno di viveri
Il giorno classificavi vestiti, dividendoli per uomo e donna. Dopo nemmeno una settimana ci siamo trovati enormi montagne di viveri e vestiti disponendoli all’interno di una chiesa.
Il resto della giornata la passavo a cucinare con le donne locali (vedi post su italianbackpacker), per poi uscire con un furgone e portare il cibo agli sfollati. Incontravamo ogni tipo di situazione, chi aveva perso i genitori, chi incinta aveva perso tutti o chi aveva perso i propri figli.
Alcune foto con le donne indigene cucinando il cibo per gli sfollati
Ci sono stati più di 500 morti, con più di 1000 sfollati e dispersi. Tutte le persone che vivevano nelle zone colpite sono state trasferite in una scuola ai piedi del vulcano, precisamente ad Alotenango o Esquintla. Alcuni più fortunati sono stati collocati come ospiti a casa di altre famiglie. Le scuole occupano ad oggi più di mille persone, con solo, e ripeto solo quattro bagni. Le aule sono state riempite con nuclei familiari, raggruppando più di quindici persone a classe, bambini compresi.
File enormi davanti ai bagni, odori sgradevoli, vestiti appesi ovunque. Le scuole in pochi giorni si sono trasformate in vere e proprie baraccopoli. Una classe adibita come clinica. Il prete che entra e inizia a fare prediche dicendo fortemente di credere al nostro signore. Un foglio con su scritto alcune avvertenze per problemi psicologici post disastro. Ma purtroppo, ancora più grave, i fogli con su scritto di non picchiare oppure abusare di minori, ormai un fattore fin troppo comune trovato in anni di viaggio fra i paesi del terzo mondo, qualcosa a cui un giorno, se trovo il coraggio, vorrei raccontarvi.
Ora provate a immaginare, mille persone che hanno perso tutto, rinchiuse dentro una struttura non avendo mai intimità, con orari vigorosi per entrare o uscire, l’obbligo di non portare alcun tipo di cibo all’interno, provate a immaginare di quanto possa essere difficile superare il trauma vivendo in questo stato. Gli sfollati hanno perso tutto; familiari, terre, animali e raccolti, ad oggi non hanno la più pallida idea di cosa succederà. Il disastro non finirà fino a quando il governo non si decide a farsi vivo, rimasto in disparte tutto questo tempo. La cosa positiva in tutto questo è la fratellanza e l’unione di tutto il centro America. Riesci a capire che in questa parte del mondo non interessa se sei Guatemalteco, Messicano, bianco o nero, l’unica cosa che interessa e’ che sei un essere umano e come tale devi essere aiutato come un fratello.