ITALIANBACKPACKER

Metamorfosi di una donna di città: da una valigia colma di vestiti allo zaino in spalla

Di Ylenia Cecchetti storie al check in

Non sono nata viaggiatrice. O meglio, il gene della curiosità per il mondo sì, mi è stato trasmesso. Colpa dei miei, che giovanissimi loro, una poppante io, mi hanno messo su un aereo con destinazione Stati Uniti, e lì è iniziata la storia della me con valigie (sempre troppe), con itinerari (sempre ambiziosi) e con una fame assurda di scoprire (mai placata).

Dico che non sono nata viaggiatrice ma turista, e la differenza è netta anche se l’ho capito solo col tempo, sperimentando e conoscendomi. Sono nata, sì, con la predisposizione per il volo aereo, per il caos degli aeroporti e per l’emozione di un timbro in più sul passaporto. Ma la mia storia nel mondo è cominciata in un modo ?.

Sono nata turista. Abituata alla comodità pre e dopo il viaggio, al bell’hotel (mai di lusso ma pur sempre dignitoso, fondamentale che ci fosse il box doccia e non la tendina in bagno). Abituata agli spostamenti guidati, facilitati, in gruppo. Affamata di “cose da vedere”, di “bandierine da piantare” ad ogni tappa, sotto ogni monumento. Confesso: non mi interessava tanto il “viaggio” in sé per sé ma la destinazione.

Cresciuta a pane e turismo organizzato mi sono spostata, poi, sulla smania del fai da te. Dall’ infanzia di protezione, quella garantita dal villaggio vacanza, sono passata alla voglia di indipendenza tipica dell’età adolescenziale. E siccome il viaggio è lo specchio di come ti senti, mi è salita forte la voglia di “ribellione”, di organizzare da sola. Erano gli anni in cui iniziavo ad assaporare il gusto della scoperta, della scomodità, dello spirito di adattamento. 

Soltanto dopo, con l’età adulta c’è stata la mia “seconda vita”. La rinascita. La conversione. Sono arrivate, infatti, le prime esperienze da viaggiatrice. Lo spartiacque? Passare da una valigia strabordante di vestiti (e dall’ansia perenne del peso rilevato dalla bilancia al check in) allo zaino in spalla. Quello che ho guardato con incredulità per tutta una vita. Quello che mi sono sempre chiesta “ma come fanno a fare il giro del mondo con uno zaino e basta?”. Quello delle cose essenziali e non superflue. Dell’abbigliamento tecnico che si asciuga veloce al sole. La mia “prima volta” è stata la Thailandia.

C’è per tutti una prima volta. Quel viaggio che ti fa aprire gli occhi, improvvisamente, su dei lati di te stessa che non pensavi di avere. Tipo che a casa tutti ti conoscono in una “certa veste”. Nel mio caso, quella sempre seria, posata, prudente, composta, razionale, abituata a vestir bene. Una “principessa” di città che non ama lo sport, le fatiche o le situazioni estreme e difficilmente si mette alla prova se non sa dove andrà a cadere. 

Ho utilizzato “il mio primo viaggio zaino in spalla” come metro di conoscenza di me stessa e ha funzionato alla grande. Funziona soprattutto se vivi una vita di routine dove ti torna indietro quello che vedono gli altri, ma tu magari ti senti altro e quell’altro lo scopri viaggiando.

Grazie a certi viaggi mi sono ritrovata in situazioni “estreme” in cui ho ribaltato l’idea di me. Tutti da casa mi dicevano “Ma sei matta? Ma sei sicura? Non ce la farai mai“. Del tipo trekking nella giungla di Chang Mai, 3 giorni a dormire in villaggi senza elettricità, senza alcun tipo di comodità, di lusso, di connettività, di bene di prima necessità (cibo e acqua, quelli si!). Li ho scoperto che anche se non sono atletica, posso farcela. Posso riuscire a camminare per giorni sfidando la paura dei serpenti e degli insetti e degli animali in generale.

Sono riuscita senza grandi sforzi a lasciare piastra e phon a casa indossando indumenti nuovi, e una messa in piega nuova (decisamente più wild), a lasciare i tacchi per scarpe che mi aiutassero a spingermi in salita. E sul cammino mi sono confermata seria ma scoperta divertente. Irrequieta. Precipitosa. E istintiva.

Al posto del rossetto, in tasca, l’antizanzare. Ed ecco: benvenuta alla nuova me. Coi capelli confusi ma una forza di volontà, uno spirito di scoperta e una voglia di aprirsi al mondo mai assaggiata prima. E benvenuti agli inconvenienti, ai programmi rivisti, agli itinerari modificati, agli incidenti di percorso, tutte parentesi che non avevo mai aperto e che solo all’idea mi procuravano panico. Ma soprattutto, benvenuta alla lentezza. Agli incontri con la gente che prima non vedevo neppure passare e con cui ora mi fermo a parlare con interesse ed empatia. Benvenuta alla voglia di provare ad ogni viaggio la vita da “local”: mezzi di trasporto locali, soggiorni presso famiglie locali, pranzi in posti frequentati da locali. 

Io, signora della “pianificazione maniacale”, ho imparato a non perdere di vista cosa un viaggio mi può regalare. Ad accantonare cosa invece, “devo vedere”. Sono iniziate le mie altre prime volte da “principessa di città”: che soffre il freddo anche ad agosto ma che sceglie di dormire a -18 nel Salar de Uyuni, in Bolivia. Con un po’ di sacrificio ma “ringraziandomi per essermi portata fino a lì” ho sfidato la cosa che più mi infastidisce: soffrire il ghiaccio.

Ho capito che scavando, non siamo quel che credono gli altri. Che quella principessa di città esiste, ma che se perde la scarpetta scopre che a piedi nudi, correre, è libertà allo stato puro. Viaggiando è rinata una me che solo io ho il privilegio di conoscere, che è una guerriera, che ha paura ma la paura prova a combatterla. Che affronta la fatica di un trekking in notturna sulle montagne del Perù, e sopravvive. Col sorriso. Che si lascia andare, che lascia spazio a una parte viva che forse si era solo addormentata. 

Il tacco non esclude lo zaino. Non c’è bisogno di etichetta, non devi scegliere chi essere. Mi sento da resort e mi sento da campeggio. Puoi essere entrambe le cose. Puoi essere chi vuoi. Viaggiare, in questo senso, ti rende libera. 

Se sono riuscita io a rinunciare a manicure e piastra lisciante imparando a muovermi con kg di peso sulle spalle c’è davvero speranza per tutte!

Quando partite il bagaglio lasciatelo vuoto. Lasciate posto a quel che riporterete indietro e non parlo di inutili souvenir. Ma di consapevolezze, di sfide vinte e di nuove parti di “voi” scoperte o ritrovate.

Ps. Rinuncio a tutto in viaggio ma non ai miei orecchini. Sono la mia spada. E’ quel tocco di femminilità che mi ricorda la principessa di città, la “lei” che nel bene o nel male fa parte di me. Per non dimenticare chi sono, per ricordarmi cosa posso, davvero, essere.

Scritto da

Ylenia Cecchetti

Il suo blog:

Storie al check in

scopri i mie libri

antonio Di Guida

spedizioni in 3-5 giorni

dediche personalizzate

sconto su aquisti multipli

pagamenti sicuri

Leggi altri articoli